marketing non convenzionale
Un marketing non convenzionale fuori dal comune

Marketing non convenzionale: il caso Dunkin’ Donuts

  • Autore dell'articolo:
  • Categoria dell'articolo:Blog

Dunkin’ Donuts è una catena statunitense, famosa in tutto il mondo, che si occupa della vendita di caffè e ciambelle.  Un business di questo calibro non dovrebbe avere problemi nel farsi notare e nel sbaragliare i concorrenti, giusto? E invece vi sbagliate. Anche i grandi marchi per mantenere la loro posizione sul mercato devono darsi da fare (soprattutto se i concorrenti in questione sono Starbucks e Tom’n Tom’s Coffee) e la famosa catena di ciambelle ha dimostrato di avere una grande padronanza del marketing non convenzionale. La difficoltà dell’azienda è subentrata nel 2012 in South Korea, precisamente a Seoul, città caotica e trafficata in cui difficilmente i cartelloni pubblicitari attirano l’attenzione. Come fare?

 

Aroma di caffè sui mezzi pubblici

Dal video si comprende con chiarezza che l’obiettivo dell’azienda era quello di incoraggiare le persone a scegliere il caffè di Dunkin’ Donuts. Quale strategia utilizzare? Un marketing non convenzionale era l’arma ideale per farsi notare: gli esperti compresero che quell’enorme traffico cittadino poteva essere sfruttato a loro vantaggio e gli autobus affollati e la metropolitana si rivelarono  il mezzo ideale per diffondere il messaggio pubblicitario. In che modo? Giocando sul piano delle associazioni. Vi spiego meglio: su ogni autobus e metro vennero piazzati dei sensori elettronici che rilasciavano aroma di caffè ogni qual volta lo spot dell’azienda passava in radio. Questa strategia ha fatto in modo che  i consumatori abbinassero il brand Dunkin’ Donuts al profumo del caffè, generando un’intenzione all’acquisto di quel particolare prodotto.

Un po’ di teoria

La teoria alla base di questa strategia di marketing non convenzionale è una delle più studiate in psicologia, cioè il condizionamento classico del buon vecchio Pavlov: associando uno stimolo (l’odore del caffè) a un altro (la pubblicità) si instaura un legame tra i due fino a trasferire la risposta che normalmente si ha di fronte al primo stimolo al secondo. Il risultato? Dovrebbe essere il seguente:

  1. l’odore del caffè genera “voglia di caffè”;
  2. l’odore viene diffuso appena prima della messa in onda dello spot;
  3. tale vicinanza dei due stimoli genera un’associazione tra la voglia di caffè e lo spot stesso;
  4. la risposta “voglia di caffè” si trasferisce;
  5. avremo voglia di caffè appena entraremo in contatto con la pubblicità del grande marchio;

Ma chi dice che tale voglia si trasformi in un’intenzione all’acquisto? A mio parere la strategia è geniale,ma la sua efficacia si esaurisce nella sua originalità: intervengono troppe variabili per poter stimolare in modo così semplice questo specifico comportamento d’acquisto. Una strategia simile, però, ha centrato in pieno l’obiettivo: far parlare di sé.